NEL  “CUORE” DEI  PELLEROSSA

” Essere un nativo non è solo una questione di sangue: è ciò che c’è nel cuore…l’ amore per la terra , il rispetto per coloro che la abitano…il riconoscimento degli spiriti e degli anziani…questo è quello che significa essere indiano”. ( Proverbio indiano)

A loro modo i nativi americani concepiscono il mondo fisico e la terra come un’ entità spirituale, condividono un unico cordone ombelicale con Madre Terra.

Per il non indiano potrebbe essere di grande vantaggio scorgere e scoprire questa visione dell’ universo.

La regina degli uccelli, l’ aquila, è considerata un ponte di comunicazione tra il cielo e la terra, tra gli Uomini e il Grande Spirito.

Questo equivale ad affermare che nulla, nel nostro cosmo, è privo di anima e quindi senza identità spirituale.

Per gli indiani , la vita ” è il bagliore di una lucciola nell’ oscurità della notte, il respiro di un bisonte in inverno, è l’ ombra sottile che corre tra i fili d’ erba e si perde al tramonto”.

Per i nativi ,durante il sogno , una parte dell’ anima va letteralmente ad esplorare altre dimensioni, disconnettendosi dal corpo fisico e viaggiando nel mondo dove può comunicare con gli altri spiriti di altre anime umane o animali.

Il mondo onirico è altrettanto reale come il mondo fisico.

Un’ ancestrale leggenda navajo vuole che nelle rocce della “Valle degli Dei” , ( sorella della Monument Valley), riposino gli spiriti di antiche divinità.

Questo territorio è un gioiello geologico dove si stagliano impressionanti torri di arenaria rossa; violarne la terra sacra significherebbe risvegliarli.

E’ da questo mito che parte il regista Lech Majevski per raccontare la ” sua” personale Valley of the Gods”: ” credo che i Navajo siano fieri di questa pellicola prodotta da un uomo bianco che guarda le cose dalla loro prospettiva”.

In questo luogo gli indiani sono creature viventi in uno spazio vuoto costantemente connessi ai loro antenati; se osserviamo i totem c’è sempre una persona sulle spalle di un’ altra, una generazione a supporto di un’ altra.

Il cinema e la letteratura hanno tentato di rimediare al senso di colpa sorto, se non nei confronti dei singoli individui, cui forse unicamente andava chiesto perdono, almeno nei confronti della mentalità collettiva dopo la conclusione delle guerre.

Scorre, ancora sotto pelle, la sensazione che non ci si riesca a liberare del tutto di una storia di orrore a piene mani in nome di un’ idea di supremazia dell’ uomo bianco.

Altrettanto vero che” ricordare “non è mai un esercizio innocente e in questa occasione sembra scivolare silente nella polemica razziale, senza poter confluire all’ epilogo catartico che nel teatro greco concludeva la scena drammatica.

Sembra che il tema dell’ inferiorità razziale sia il prescelto lungo la storia umana.

I nativi rappresentano una cultura che è stata sconfitta storicamente dalla violenza, dalla ferocia , dalla forza di un’ altra civiltà ” tecnologicamente avanzata”, che forse oggi più di sempre, mostra la sua brutalità e a tratti la sua ” inutilità” ma anche una cultura che lega i cerchi dell’ esistenza, quelli dell’ anima , dello spirito, del pensiero fino al grande cerchio del mistero il ” Wakan Tanka” , il Grande Spirito.

Il cerchio , il ciclo della vita che si esprime secondo un cammino circolare, da est a nord, in senso orario: nascita, crescita, morte, rinascita.

Per gli indiani il “progresso” è rappresentato dalla crescita che avviene nell’ interno della propria coscienza, in armonia con le leggi della Terra e del Cosmo, nel cerchio del tempo che va e ritorna senza progressione lineare.

” Wakan” indica qualsiasi entità , oggetto di difficile comprensione, potente e sacro; qualsiasi cosa potrebbe essere ” Wakan” , il modo con cui gli spiriti agiscono è ” Wakan”.

Al singolare, come espressione verbale, ” Wakan Tankan” non è una personificazione piuttosto una manifestazione : il vento, il sole ( Wi), la luna ( Hanwi).

I pellerossa sono custodi eterni di una spiritualità vivida e presente , possedendo una sensibilità per il trascendentale, per il sacro, per tutto ciò che oltrepassa la conoscenza razionale.

La maggior parte delle popolazioni venerava un’ entità spirituale, origine di tutte le cose, come luce e forza come fertilità, come conoscenza e potere, di cui erano depositari alcuni animali, quali il giaguaro, l’ orso e il serpente e come per tutti i popoli vicini alle origini, la parola è sacra e in modo sacro deve essere tramandata.

La storia di ogni popolazione è la ” parola degli Antenati” che deve essere raccolta con rispetto, integrità e fedeltà e dove anziani e sciamani ne sono custodi come enciclopedie viventi

” Eravamo un popolo senza leggi ma eravamo in ottimi rapporti con il Grande Spirito…ci giudicavate dei selvaggi e senza comprendere ci avete condannati come anime perse”.

Riunire i nativi nelle riserve significava imprigionarli, costringerli a diventare agricoltori significava stravolgere il loro ethos, la loro cultura, urbanizzarli significava assorbirli per eliminarli, piegare una cultura diversa alla propria prospettiva è come pretendere di aprire la serratura di una porta con la chiave sbagliata.

Un massacro di un popolo perpetuato per secoli, ” Oka Hey” il diritto del popolo indiano, emblema della discriminazione evidente.

” … e se un uomo rosso muore per mano di un bianco egli sarà accolto nel regno degli spiriti e ritornerà la primavera seguente”.

Francesca Valleri