CARLO MAGNO, UN ANGELO E L’ ABBAZIA DI SANT’ ANTIMO.

Coordinate : Val d’ Orcia.

Immersa nei cipressi, che sembrano essere stati messi lì apposta, a definire il profilo collinare, disegnando un orizzonte sterminato, quasi a bucare l’ infinito, si staglia l’ abbazia di Sant’ Antimo , dove gli occhi si scontrano in una cartolina di altri tempi, che regala spiritualità e ospitalità.

E’ un complesso monastico benedettino, comprensivo del terreno intorno e del chiostro.

Il suo ” nome” pare essere legato a doppio filo a quello di Carlo Magno quale fondatore della Cappellla carolingia.

Si dice che l’ imperatore fosse diretto a Roma quando, giunto esattamente in questo luogo, fu costretto ad arrestarsi a causa di una pandemia all’ interno del proprio esercito che non gli permetteva la continuazione del viaggio.

Durante la notte, si racconta che all’ imperatore apparve in sogno un angelo che suggerì, per l’ indomani, di scagliare una freccia nel prato e nel punto esatto dove si fosse conficcato il dardo, raccogliere l’ erba, cuocerla e darla da mangiare ai soldati.

Detto fatto!

L’ esercito ritornò in piena salute e in segno di perpetua gratitudine si dice che abbia eretto l’ abbazia, una delle chiese romaniche più belle di tutta la Toscana.

In realtà si dice che fu il figlio, Ludovico il Pio a rendere questo luogo quasi ” imperiale”.

Tutta interamente rivestita di un particolare travertino venato che conferisce al complesso un fascino di luminosità e trasparenza, unita all’ onice delle decorazioni e circondata da un paesaggio suggestivo che pervade il luogo di misticismo e allure.

L’ interno è custode di una bellezza fuori dal tempo, con le sue colonne con i capitelli, la navata principale, la cripta e la cappella carolingia.

Il nome dell’ abbazia è a tutt’ oggi conteso da due santi.

Il primo citato negli ” Acta Santi Anthimi” dove sono narrate le vicende quasi leggendarie del sacerdote Antimo imprigionato sotto l’ imperatore Diocleziano.

Il secondo fa riferimento ad un diacono martirizzato.

Secondo la narrazione, mentre il vescovo stava celebrando la funzione e distribuendo l’ eucarestia con un calice di vetro, entrarono nel tempio un gruppo di pagani, che, con violenza, gettarono a terra la coppa mandandola in frantumi; vennero raccolti tutti i frammenti ma ne mancava uno nel fondo del calice.

Incurante , continuò a servire il vino senza che una goccia fuoriuscisse dalla coppa, provocando stupore fra i pagani che si convertirono.

Seguirono arresti, uccisione di cristiani, distruzione di libri e arredi liturgici.

Questo luogo ancora oggi difende la propria unicità e la propria bellezza fuori dal tempo celebrando ancora la domenica la funzione in latino e diffondendo quotidianamente una bellissima musica, quale quella dei canti gregoriani.

Francesca Valleri