LA ” TRINCEA” DELLA NOTIZIA

” Per prima cosa ci vogliono delle basi di esattezza, metodo, concretezza e senso della realtà” ( I. Calvino)

Con l’ avvento dei mass media raccontare conflitti vicini o lontani non è più prerogativa di professionisti; le guerre entrano in tutte le case con le loro immagini di violenza, dolore e distruzione e si siedono accanto a noi.

Rivoluzioni, colpi di stato o qualsiasi altro accadimento non possiedono più un ‘ unica voce sul campo, un intermediario ma sono coadiuvati dalle immagini che trasformano lo spettatore da soggetto passivo a partecipante ( sul divano di casa).

Invariate le aspettative di politici e militari: creare nell’ opinione pubblica un clima di approvazione nei riguardi degli obiettivi del conflitto.

Il tutto traducibile in una schiera di ” buoni ” e “cattivi” ,trasformando la rappresentanza giornalistica in un binomio fra sostenitori della causa nazionale o sabotatori.

Due cose occorrevano per far nascere il fotogiornalismo moderno: una fotocamera leggera e maneggevole e arrivò la Leica e i conflitti ideologici dove fosse necessario schierarsi e giunse la Guerra Civile Spagnola.

Il caso più eclatante durante l’ Offensiva del Tet , Guerra del Vietnam, quando l’ opinione pubblica americana era ancora coesa e convinta dell’ utilità dello scontro; in realtà un episodio definibile ” insignificante” nell’ andamento delle azioni militari ma che segnò in senso negativo l’ opinione prevalente.

E’ stato affermato che siano state proprio le fotografie del Vietnam a far cessare la guerra e che fu la coscienza indignata americana la ragione per cui fu alzata la voce contro il conflitto.

La prima ” ostilità” in diretta tv risale al 2 agosto 1990, la Guerra del Golfo, con l’ invasione del Kuwait da parte dell’ Iraq di Saddam Hussein e Peter Arnett diventa un volto familiare con i suoi reportage dalla terrazza dell’ Hotel Al-Rashid di Bagdad.

I suoi resoconti ai danni dei civili non furono graditi alla leadership politico-militare della coalizione che tanto si erano impegnati ad usare termini come ” bombe intelligenti” nel tentativo di sostenere che l’ intenzione era quella di ridurre al minimo l’ errore.

Per la prima volta ,l’ attenzione alle sofferenze delle vittime innocenti aveva preso campo consolidando una certa nuova univoca sensibilità nella narrazione giornalista di guerra che generò un distanziamento netto dal racconto semplicistico dei ” buoni” e dei ” cattivi” che era stato fatto fino all’ allora.

Per la prima volta questo conflitto preannunciava un salto in avanti nella cronaca giornalistica imponendo un nuovo modello di informazione 24 ore su 24.

Il crollo del muro di Berlino e la Guerra nel Golfo hanno fatto sì che la televisione assumesse un ruolo preponderante e il giornalismo classico fu costretto a ripensarsi in forme nuove incalzato dalla pressione del piccolo schermo e quella dei nuovi media.

L’ attentato alle Torri Gemelle dell’ 11 settembre 2001, che aveva determinato l’ attacco statunitense contro l’ Afghanistan, santuario dell’ organizzazione terroristica Al-Quaeda, aveva procurato un balzo in avanti nella narrazione.

La risposta dei vertici militari al nuovo atteggiamento dei media fu il sistema dei giornalisti ” Embeded” ovvero arruolati in unità militari sul campo.

Scopo garantire contatto e conoscenza diretta fra telecronisti e truppe, foriero non solo di una normalizzazione del loro rapporto ma anche di una sorta di ” umanizzazione”, condividendo pericoli ma anche vita e condizioni quotidiane ,si auspicava che le varie testate giornalistiche e canali televisivi avrebbero guardato al mondo militare con una visione e una disposizione mentale più comprensiva ; in quel preciso momento si stava stravolgendo la comunicazione degli eventi bellici introducendo un mezzo che proprio con l’ avvento del nuovo millennio raggiunse la maturità: internet.

Nasce un nuovo identik del giornalista di guerra: è colui che registra i fatti nel mondo, sceglie le fonti determinandone l’ attendibilità mosso da passione e spirito critico; è un ” curioso giramondo”.

E proprio il conflitto in Iraq ha portato alla ribalta il ” fenomeno” dei ” blogger di guerra” uno pseudonimo per tutti ,Salam Pax, oppositore di Saddam, che raccontò nel suo dialogo via etere il dramma del suo popolo e che ha costretto i cronisti ad aggiornare il proprio linguaggio , rendendolo immediato e accentuando la loro professionalità per mantenere ed accrescere la credibilità verso il pubblico.

La straordinaria potenza comunicativa e la velocità di Internet ha portato all’ afflusso in rete di un’ enorme quantità di voci; persino il terrorismo è stato in grado di ritagliarsi un proprio canale e spazio per la sua propaganda.

Se da un lato si sono spalancate le porte della testimonianza in presa diretta, dell’ immedesimazione e dell’ informazione continua, dall’ altro si è generato un caos comunicativo sempre più complesso da districare che ha proprio nell’ etere il suo campo di battaglia.

Un ipotetico avversario può adesso essere demolito non solo sul terreno di guerra ma indebolito moralmente minando il morale attraverso una comunicazione distorta , menzognera e velenosa , facendo rimbalzare su siti, blog e social un cocktail di informazioni vere, fake o plausibili; strategia vecchia ma attuata con mezzi potenti e nuovi.

Oggi la vittoria o la sconfitta si giocano anche su fattori psicologici.

L’ informazione sta rimodulando la propria grammatica per adattarsi ad un nuovo tempo e ad una nuova modalità di ricezione da parte degli spettatori; ci troviamo da una parte una maggiore multimedialità che espande e sfuma i confini , fra dirette social e podcast e dall’ altra una virata più emotiva e personale del racconto stesso.

L’ informazione sta scivolando via dalla carta.

Probabilmente nessuna generazione umana è stata informata come questa.

Nel mare magno dell’ informazione ” internettiana” il lettore tende a non fare differenze e, nei limiti delle sue capacità di discernimento, sarà portato ad affidarsi a quello che , in quel particolare momento, corrisponde al suo ” sentiment”.

Una volta il giornalista era l’ unico in grado di andare alla fonte della notizia; oggi l’ intermediazione giornalistica ha valore solo se ” consegna” al lettore quel “quid “che da solo non sarebbe in grado di procurarsi.

Ma è altrettanto vero che ogni temporaneità ha avuto un suo modo di fare e stare dentro la notizia che è stato plasmato dagli spazi di scrittura , dai luoghi in cui esso veniva forgiato e dalla mentalità con la quale veniva pensato.

Il presupposto è che il giornalismo ha il compito solenne e nobile di indagare la realtà, di raccontarla sprofondando anche nella sua complessità, veicolando fatti e notizie utili e straordinarie che seguono una gerarchia.

Francesca Valleri