HENRI CARTIER-BRESSON: IL PENSATORE LIBERO

“La macchina fotografica è per me un blocco di schizzi , lo strumento dell’ intuito e della spontaneità, il detentore dell’ attimo; in termini visivi, interroga e decide nello stesso tempo”.

Henri Cartier-Bresson è definibile come il più grande fotografo di sempre, in grado di cogliere lo spirito del Novecento per renderlo immortale in scatti meravigliosi o più semplicemente un pensatore libero, dove ogni singolo fotogramma è scrigno e custode della curiosità della vita e di un pensiero strutturato.

Motivo per cui è passato alla storia anche come ” l’occhio del secolo”.

E’ stato in grado , con un “click” di raccontare la guerra civile spagnola, quella cinese, l’ occupazione nazista, i funerali di Gandhi e l’ unico fotografo occidentale al quale fu concesso di scattare fotografie in Unione Sovietica negli anni della guerra fredda.

Scordiamoci filtri, ritocchi e complicate lavorazioni al computer dei nostri tempi moderni; per Bresson la differenza che intercorreva fra una buona fotografia e uno scatto mediocre era da ricercare e individuare nella capacità di cogliere il momento decisivo e renderlo immortale.

” Le fotografie possono raggiungere l’ eternità attraverso il momento”, ( e non hanno necessità di like!).

Con tale filosofia sotto braccio , i suoi ritratti saranno privi di soggetti messi in posa ma saranno tutti fotografabili nel quotidiano , inseriti nel loro contesto e ambiente, saranno l’ istantanea della realtà.

Poco incline ad utilizzare l’ esposimetro per regolare l’ apparecchio, l’ equilibrio dinamico è stato indubbiamente frutto di un sapiente e magistrale bilanciamento di bianchi e neri, più chiari o più scuri, luci ed ombre a donare espressività ,vita e anima alla realtà.

Rintracciò l’ estensione del proprio occhio in una magnifica Leica con lente cinquanta millimetri che acquistò nel ‘ 32 di ritorno da un viaggio in Costa D’ Avorio e con la quale si approcciò a quella che oggi è definibile fotografia di strada e dove incontriamo anche la nostra Italia; la Sardegna per un reportage per Vogue e la Basilicata , raccontando un mondo arcaico e misterioso dove le donne mostrano volti saggi e rugosi e i bambini giocano scalzi fra i vicoli di tufo dei sassi di Matera.

Sempre fedele al marchio Leica perché primo a commercializzare una macchina fotografica fra le più leggere permettendogli di controllare con un solo sguardo tutta l’ inquadratura.

Indubbiamente eclettico, possessore di ” intuito” , quella capacità di elaborare velocemente le informazioni che gli ha permesso di essere un grande ascoltatore del mondo e proprio da questo, pittorico e cinematografico, ha carpito segreti.

Dal primo, al quale si era avvicinato grazie ad uno zio, apprende, dagli impressionisti, la tecnica della composizione pur sostenendo che fra disegno, pittura e fotografia non esistesse rapporto ma solo lo sguardo perché i processi che portano un disegnatore sono diversi da quelli di un fotografo; il pittore possiede il tempo, quello di riflessione, quello del punto di vista, quello dei colori e posizione mentre i fotografi lavorano nell’ immediatezza.

Al secondo approda grazie al figlio del pittore Renoir, Jean, al quale faceva da assistente.

Arriva a dirigere dei documentari, nuova composizione della fotografia, ritenendosi privo di fantasia ma capace di organizzare in maniera sublime ciò che vedeva.

Da questo mondo ” sofisticato” assorbe e fa del tutto suo il concetto di inquadratura totale, quella in cui vediamo gli individui a figura intera e piena inseriti all’ interno di un preciso contesto dentro il quale dialoga la persona con il tutto e il documentario sulla guerra civile spagnola rappresenta proprio questo gusto all’ inquadratura rigoroso.

Nel ’47 fonda con Capra, l’ agenzia Magnum, una sorta di cooperativa virtuale, un sindacato dei fotografi nella quale , liberi di dialogare fra di loro, parlavano di vita, perché per loro la fotografia era lo strumento per attraversarla.

Ma questa ” cooperazione” celava anche altri scopi, ovvero, evitare che i loro scatti fossero stravolti quando venivano messi in pagina.

Erano gli anni dei ritagli ed era pratica comune che per rispettare anche spazio ed impaginatura le foto potessero essere tagliate approdando così all’ ennesimo taglio della realtà.

A tutt’ oggi gli scatti della Magnum non possono essere assolutamente rifilati.

Non ha mai sviluppato personalmente i propri scatti non avendo mai voluto apportare modifiche e miglioramenti al negativo; lo scatto doveva essere giudicato quanto fatto nel ” qui e ora”, nella risposta immediata del soggetto la tecnica non doveva prevaricare l’esperienza iniziale.

Le sue fotografie colgono la contemporaneità delle cose, delle persone, della vita, testimoniano la precisione della sua percezione e la nitidezza dello sguardo quale finestra sul mondo.

” Bresson temeva il giorno in cui un reticolo sarebbe stato sovraimpresso al mirino della macchina fotografica; è stato profetico , oggi non c’è fotocamera a partire da quella dentro al cellulare che non proponga reticoli per lo sguardo”.

Francesca Valleri